Il Ruanda è un Paese dove è presente un grande impegno verso una ripresa economica e sociale il più forte possibile. Un primo segnale arrivò nel 2006, grazie al progetto Rwanda Path to Peace, e all’esportazione delle tradizionali ceste colorate prodotte in maniera del tutto artigianale in questo Paese. Il loro nome è agaseke, e rappresentano un vero e proprio fenomeno, in grado di unire economia e solidarietà. Nel 2016 cambia il settore, ma il successo si ripete, questa volta attraverso la produzione di caffè.
A occuparsi di questa azienda sono delle donne, unite in una vera e propria cooperativa. Fanno parte di diversi gruppi etnici, gli hutu e i tutsi, e hanno l’aiuto e il sostegno della Fondazione Avsi, una ONG presente sul territorio. La presidente di questa realtà imprenditoriale è Daphrose, una donna del Ruanda di 55 anni, e lavora su questo progetto da almeno dieci anni. Intorno a lei ci sono 140 donne, che hanno potuto ottenere un lavoro in grado di allontanare loro e le famiglie dalla povertà. L’impatto sulla società circostante all’impresa è decisamente notevole.
Come abbiamo detto si tratta di donne di differenti etnie, che sono state presenti durante il genocidio che ha diviso e insanguinato il Ruanda. Da un lato i carnefici, dall’altro le vittime, oggi uniti nel ricordo di un dolore indescrivibile. L’obiettivo è quello di portare vera pace, cercando di ricucire le ferite di un Paese dilaniato, strappato, addolorato.
Per certi versi ciò che avviene all’interno di questo progetto ha il sapore di una rivoluzione. Il lavoro, il sacrificio e la collaborazione possono riuscire a riunire, là dove la guerra ha diviso, portando alla costruzione di un Ruanda nuovo, con il passato che può essere ricordato affinché nulla di così terribile come un genocidio possa ripetersi. Donne che lavorano fianco a fianco, le une con le altre, nonostante fossero, solo pochi anni prima, sui due lati opposti del conflitto.
Inoltre cambia il modo di intendere il lavoro. In tante società africane più rurali è possibile che la donna veda il proprio lavoro come un dono che si fa alla propria famiglia. Al contrario stavolta il dono è qualcosa di più, travalica la dimensione familiare, e diventa un modo per realizzare qualcosa insieme. Ci si ritrova a collaborare con gli altri, in una spinta di maggiore indipendenza che coinvolge tutte le persone che fanno parte del progetto.